Aspetti di metodo

Come guardiamo all’organizzazione

In questa parte proviamo ad esplicitare alcuni tratti che connotano la concezione di “organizzazione” cui facciamo riferimento, indicando anche alcune caratteristiche dell’intervento di consulenza che corrispondono a questo modo di guardare all’organizzazione e che ci collegano in prevalenza all’orientamento psicosociologico di ricerca e azione nel sociale.

Organizzazione e individui

Ogni organizzazione è una realtà diversa dalle altre
Un primo aspetto da tenere presente (meno ovvio di quanto possa apparire ad un primo istante) è che l’organizzazione è fatta di individui. Per cui non si tratta di porre attenzione solo all’organigramma, al disegno formale di ruoli e funzioni, ma anche di considerare le specifiche persone che operano nell’organizzazione e i legami che esse costruiscono con ciò che l’organizzazione produce, con i colleghi, con i destinatari dei servizi. Come non vi sono individui al lavoro senza organizzazione, così non possiamo pensare alle organizzazioni come indipendenti dagli individui che vi lavorano. Questo significa in primo luogo che ogni organizzazione costituisce una realtà diversa dalle altre perchè diversi sono gli individui che la compongono: una casa protetta ha certamente un suo disegno organizzativo, ma la casa protetta “Villa Serena” muta in modo sostanziale se mutano tutte le persone che in essa operano.

L’intervento di consulenza pertanto dovrà tenere conto di queste specificità: non un pacchetto di interventi preconfezionati, identici per differenti realtà, ma in grado di calibrarsi in ragione delle specifiche caratteristiche dei contesti e delle persone.

Il rapporto tra disegno formale dei ruoli e modo in cui le persone costruiscono legami di lavoro
Ne consegue che per cambiare la realtà lavorativa non è sufficiente disegnare un nuovo assetto organizzativo, per quanto ingegnoso e ben calcolato, ma si tratta di aiutare le persone a far emergere e a mettere in dialogo le proprie rappresentazioni dei problemi, per cercare insieme le ragioni e la direzione del cambiamento. Nella nostra esperienza il lavoro sull’organizzazione non è mai solo un intervento relativo ad aspetti strutturali, ma è anche un lavoro che coinvolge gli individui, il loro modo di pensare e costruire legami di lavoro nell’organizzazione. Nuovi ruoli e compiti non vengono concretamente assunti, se non si prende in considerazione anche il modo in cui le persone sviluppano relazioni nella realizzazione del compito lavorativo. In questo senso sono significative le perplessità degli operatori di  un Servizio Sociale di un Comune medio-grande, passato di recente da un assetto per piccoli gruppi operanti nelle circoscrizioni ad un’organizzazione per settori in cui cono confluiti tutti gli operatori del territorio. Nella nuova organizzazione del servizio le persone sostenevano di non comprendere come si doveva lavorare assieme: “nei settori è stata introdotta la figura dei coordinatori, ma non abbiamo capito come si deve svolgere il lavoro tra loro e gli operatori di base. Prima, quando si operava in piccoli gruppi, era molto più facile mettersi d’accordo tra colleghi, non servivano riunioni poiché ci si vedeva sempre, ora pensiamo di poter lavorare allo stesso modo di prima, ma in una situazione del tutto mutata…”.

Con ciò non si vuol dire che il disegno organizzativo non condiziona l’atteggiamento degli individui, il loro modo di lavorare: a volte si rischia di attribuire agli individui mancanze che non sono solo loro, quanto piuttosto del contesto organizzativo e del modo in cui esso funziona. E’ il caso di un direttore di un dipartimento sanitario quando lamentava la scarsa capacità del proprio personale di fare squadra, non dando rilievo al tipo di assetto del dipartimento, costituito da nove uffici distinti, ognuno dei quali rispondeva direttamente a lui: questo tipo di architettura spingeva ciascuna parte a curare maggiormente la relazione diretta col direttore piuttosto che a ricercare collaborazioni con le altre parti.

Individui e organizzazione sono in rapporto tra loro, si influenzano a vicenda: non si potrà quindi lavorare sull’assetto organizzativo senza considerare gli individui, come non servirà concentrarsi sugli individui senza avere attenzione per il funzionamento organizzativo. Serve pertanto un approccio alla consulenza che non separi l’organizzazione dagli individui, i compiti dalle relazioni di lavoro tra le persone, ma anzi centri l’attenzione sul rapporto che si instaura tra individui e organizzazione, sul modo in cui gli individui sviluppano relazioni in rapporto al compito lavorativo.

Quando parliamo di individui non intendiamo solo i vertici dell’organizzazione
A volte si pensa che chi sta all’apice abbia il potere di prevedere e determinare il comportamento delle persone, mentre non di rado si riscontra che chi più sta in alto (specie se si tratta di una grande organizzazione), tanto meno sembra in grado di dominare o anche solo conoscere ciò che accade nell’organizzazione. Si tratta pertanto di non circoscrivere lo sguardo della consulenza a questo solo livello, ma di tenerlo aperto considerando gli individui nell’ambito dei diversi livelli in cui è articolata l’organizzazione e all’interno dei differenti gruppi professionali. Ogni parte dell’organizzazione possiede un proprio modo di vedere le cose e può seguire logiche d’azione diverse da quelle delle altre. Questo intreccio di posizioni e logiche differenti fa delle organizzazioni delle realtà complesse, il cui funzionamento non è descrivibile ricorrendo a modelli deterministici.

Da qui la necessità - per un intervento di consulenza che intenda sostenere un vero cambiamento - di coinvolgere i vari livelli dell’organizzazione nell’analisi delle difficoltà e nella messa a punto delle linee secondo cui cambiare, cercando di costruire convergenze tra le diverse parti dell’organizzazione. Si tratta di processi di lavoro attraverso i quali in molti casi abbiamo contribuito a promuovere (laddove non previsti) o a sostenere (laddove già presenti) quei livelli intermedi di responsabilità (funzioni di coordinamento, nuovi comparti o luoghi stabili di lavoro tra parti differenti dell’organizzazione…) che possono rivestire funzioni cruciali di integrazione tra le diverse parti dell’organizzazione, favorendone il buon funzionamento.

L’influenza delle dimensioni affettive
Considerare gli individui significa anche considerare i fenomeni affettivi e spesso inconsci che influenzano i comportamenti e le scelte delle persone: desideri di riconoscimento del proprio lavoro, di conferma della propria identità, passioni, sogni, timori, ansie, speranze, invidie…sono aspetti, che si intrecciano con la dimensione razionale e influenzano il modo che ciascuno ha di vedere l’organizzazione, il rapporto con i colleghi e i problemi che la attraversano: un responsabile che di fronte alle obiezioni dei suoi operatori prosegue per la sua strada poiché “un dirigente non può certo cambiare idea”, l’astenersi di un coordinatore dall’entrare nel merito del lavoro di educatori e psicologi per “evitare di ledere la loro autonomia professionale”, la rinuncia a portare critiche nel gruppo “per il timore di alterare il clima di lavoro”: sono situazioni in cui gli elementi di realtà rischiano di scomparire per l’influsso di elementi di natura affettiva.

Lavorare con gli individui nelle organizzazioni, interrogare le rappresentazioni che le persone si costruiscono della realtà lavorativa, significa anche entrare in contatto con dimensioni affettive, le quali possono essere investite per alimentare la vita delle organizzazioni, sostenerne i cambiamenti, ma possono anche fomentare conflitti e spingere le organizzazioni in situazioni di stallo. Come nella mente delle persone non è possibile scindere le dimensioni emotive da quelle razionali, così pure nelle organizzazioni -che sono costituite da individui- queste dimensioni sono intrecciate: le organizzazioni non sono sistemi ben ordinati, governati da logiche lineari ed evidenti, ma luoghi caratterizzati da dimensioni inevitabili di disordine e di ambivalenza, in cui le persone possono al contempo mettere in atto atteggiamenti opposti e contradditori: “il dirigente ha mosso mari e monti per creare la nostra figura di coordinatori e ora ci scavalca cercando di continuo di rapportarsi direttamente con gli operatori, che lo assecondano. Abbiamo tutti voluto una nuova organizzazione e adesso non la utilizziamo”.

Organizzazione e contesto

Il legame tra problemi di lavoro e contesto
I problemi con cui un’organizzazione è chiamata a misurarsi e il tipo di apporto che ad essa si richiede sono legati al contesto in cui l’organizzazione è inserita ossia alle caratteristiche dell’ambiente sociale e culturale in cui prendono forma i disagi delle persone e dove sono presenti altre realtà che intervengono rispetto ai medesimi problemi.

È nell’interazione con le altre realtà del contesto che prende forma il senso dell’azione di un’organizzazione di servizi sociali, sanitari, educativi: la possibilità per il Servizio Sociale di un Comune di offrire un lavoro sostenibile a persone con forme di disagio psichico è legata alla disponibilità del Dipartimento di Salute mentale dell’Asl di fornire agli operatori del Servizio Sociale la consulenza dei propri medici o, ancora, la possibilità di conseguire risultati sul piano educativo da una cooperativa impegnata nel lavoro con minori in difficoltà è legata al tipo di collaborazione che si instaura con gli istituti scolastici frequentati da quei minori.

Una consulenza efficace richiede di esplorare e riflettere sul contesto in cui è inserita l’organizzazione: non sono quindi solo gli individui, ma anche il tipo di contesto (e di conseguenza il tipo di problemi di cui ci si occupa) che fa di ogni organizzazione una realtà diversa dalle altre.

Quando non si tiene conto del contesto
Non di rado capita invece di trovarsi di fronte a processi di riorganizzazione che prescindono dal contesto, come se esistesse una organizzazione buona in sé, l’organizzazione ottimale per qualsiasi circostanza. Sono situazioni in cui le persone possono essere forzate a cambiare il modo di lavorare, senza poter comprendere a che cosa questo nuovo modo di lavorare è funzionale, perché si cambia;  riorganizzazioni che procedono senza collegarsi sufficientemente alla dimensione del senso, alla dimensione della missione dell’organizzazione e che conducono spesso a costruire assetti non adeguati ai compiti che il contesto chiede all’organizzazione di assumere:“siamo passati da un’organizzazione per aree tematiche ad una per sportelli territoriali -lamentavano gli operatori di un Centro di Servizio per il Volontariato-, ma ora come allora continuiamo a fornire solo servizi di primo livello, piuttosto che sostenere le associazioni nel lavoro sui Piani di Zona come i nuovi scenari ci richiedono”.

Quando si pensa che il contesto non influenzi il funzionamento interno
In altre situazioni il contesto è tenuto presente, ma è considerato in fondo come un ambiente i cui mutamenti non producono effetti sul funzionamento interno dell’organizzazione: un’idea abbastanza diffusa è che di fronte a richieste nuove si pensa di poter continuare a funzionare come in precedenza, per cui non si mette mano all’assetto o tutt’ al più si introducono alcuni correttivi che dimostrano come la portata del cambiamento richiesto non venga colta sino in fondo. In un Comune, ad esempio, ci si propone di svolgere la regia del lavoro sul Piano di Zona coinvolgendo i diversi attori del territorio come le nuove norme di legge richiedono, ma poi si mantiene un impianto interno di lavoro tutto centrato sul controllo amministrativo di specifici interventi o, ancora, un Assessorato regionale manifesta l’intenzione di lavorare per promuovere l’integrazione di politiche la cui gestione è stata affidata ai territori locali, ma conserva un assetto interno per cui l’attività di programmazione regionale di quelle politiche permane in capo a comparti che restano separati.

 


 

Accompagnare gruppi di lavoro

Nella parte “Come guardiamo all’organizzazione” sono già presenti alcune prospettive di metodo che ispirano il modo di questo nostro occuparci. Le principali sono: 

- che per affrontare i cambiamenti e le problematiche legate alle organizzazioni è importante creare le condizioni per un coinvolgimento delle persone nella produzione di una conoscenza abbastanza condivisa,

- che questa costruzione conoscitiva comune dà risultati migliori se non si limita a coinvolgere un solo livello dell’organizzazione,

- e, infine, che è necessario tenere sempre un occhio sul contesto.

Sono questi alcuni degli aspetti prevalenti di una cultura professionale che si è andata elaborando nel corso degli anni, in rapporto alle comprensioni e ai quadri concettuali via via messi a punto in relazione ai diversi contesti di lavoro che si sono susseguiti.

Questi tratti metodologici si collegano ad un aspetto che si è rivelato particolarmente importante nella nostra esperienza professionale. Ci riferiamo all’accompagnamento di gruppi di lavoro, vuoi gruppi più ‘orizzontali’, come quelli composti da responsabili, capiufficio o coordinatori di servizi, vuoi gruppi misti comprendenti tutte le persone coinvolte nella progettazione di un certo intervento, tra le quali non di rado anche il cliente o chi ne avrebbe usufruito. Si tratta di un aspetto importante ma non scontato, perché anche dove è stato possibile prevedere l’attivazione di gruppi di lavoro, la possibilità di conferir loro un significato comune e una valorizzazione delle loro potenzialità è stata conseguita solo tramite riprese e ripuntualizzazioni tra i componenti, i consulenti e le altre parti dell’organizzazione. In questo modo si è in genere riusciti a conferire a questo tipo di lavoro un significato più condiviso, dopo un primo accordo tra le parti sovente tanto immediato quanto incerto e oscillante, poiché - come viene segnalato - a gruppo di lavoro corrispondono diversi significati.

A gruppo di lavoro corrispondono diversi significati
Se uno dei significati più diffusi tende ad indicare luoghi più predisposti al mantenimento di un buon clima interno piuttosto che al raggiungimento di un obiettivo professionale (talora fino a giungere ad una scissura tra clima e oggetto di lavoro), vi sono anche orientamenti e prassi che, pur cercando di connettere questi due aspetti, operano tuttavia una certa diluizione circa la natura del lavoro che il gruppo potrebbe svolgere. In questi casi, “gruppo di lavoro” può indicare sia modalità lavorative di tipo assembleare, orientate a raccogliere l’adesione su proposte e documenti già definiti riguardanti aspetti e criticità del contesto organizzativo sia un luogo nel quale si svolge la raccolta di informazioni tra le diverse parti dell’organizzazione per la redazione o compilazione integrale di quadri, tabelle, classificazioni da passare alla considerazione di altri servizi o dei vertici, piuttosto che un’opera ricompositiva preliminare sulla quale avviare, all’interno del medesimo gruppo, anche un lavoro di analisi e di approfondimento. Se talora ci si imbatte in una attività di natura anche elaborativa, implicante una certa continuità, non di rado questa è rivolta a riprendere incidenti e difficoltà sorte ad extra, cioè nell’ambito del rapporto professionale degli operatori con gli utenti; molto raramente essa è invece diretta a promuovere analisi ad intra sul funzionamento organizzativo che dovrebbe sostenere quel lavoro: l’organizzazione tende così ad essere un oggetto ‘fuori campo’, un po’ inafferrabile. La conseguenza è quella di limitare la capacità di questi gruppi nel produrre letture adeguate delle situazioni e dei problemi. Il gruppo, centrato sul clima interno o sul compito predefinito, sull’ approvazione di documenti o sul mettere insieme informazioni, non sembra disporre delle sonde o delle conoscenze sufficienti per trattare in modo adeguato la dimensione organizzativa. Di essa si parla altrove e con un linguaggio specifico che spesso coincide con quello della lamentazione.

Aiutare i gruppi a pensare sulle connessioni tra ambito professionale e funzionamento organizzativo
Per questi motivi è importante predisporre  forme e dispositivi capaci di aiutare le persone ad uscire da prospettive un po’ limitanti - che guardano al gruppo da istanze o poco orientate al produrre o poco disposte ad affidargli un significato che vada oltre una certa idea di economicità (economizzare tempo, discussioni…) - per pensarsi in un’ottica nuova, dove entrare in un gruppo di lavoro significa innanzitutto prender parte ad un gruppo di produzione. In questa linea, la relativa presa di distanza dalle forme routinarie con le quali affrontiamo le situazioni non è finalizzata ad un temporaneo abbandono di quest’ultime (per consentire, in loro assenza, una sorta di ‘ricarica’ delle persone), ma all’assunzione di nuove modalità di lavoro che implicano sia uno sforzo più elaborativo sia uno sforzo da fare assieme ad altri, ad altre parti dell’organizzazione, del servizio...

Qui occorre poi mettere a tema la questione relativa alla cura del clima interno, alla cui riuscita è legata la possibilità di sperimentare come questo particolare tipo di lavoro fatto insieme ad altri, se implica una certa complicazione delle cose, è però foriero di buoni risultati e interessanti scoperte. Tra queste, può rivelarsi importante nell’incoraggiare i partecipanti ad investire anche emotivamente in questa attività il fatto che il gruppo riesca ad operare rapporti e connessioni tra l’ambito professionale dei partecipanti e il funzionamento organizzativo, invece di procedere assecondando la tendenza a scinderli, che conduce ad elidere il secondo. In questo caso i partecipanti possono scoprire che comprensioni, orientamenti e prassi maturate e utilizzate sul versante strettamente professionale risultano idonee anche per leggere le situazioni e i problemi del funzionamento organizzativo che in questo modo comincia ad apparire meno rudimentale e più ricco, più problematico ma anche più vivo di quanto si poteva immaginare.

Ci si scopre capaci di produrre insieme una conoscenza organizzativa e dunque nella possibilità di intervenire anche su questo versante, avanzando proposte di cambiamento e portando veri contributi. Dall’altro si può riscontrare che un conoscere organizzativo più raffinato è in grado di operare letture più profonde delle situazioni e delle vicissitudini professionali di ciascuno e quindi di prospettare linee di intervento più salde e più di lungo respiro.

 


 

La costruzione dell’oggetto di lavoro

In questa prospettiva - e più in generale in una situazione sociale dove l’attivare gruppi di lavoro richiede un maggior investimento nella loro fase iniziale e preparatoria per negoziare e circoscrivere temi e confini - assume una particolare pregnanza l’attenzione e la cura che all’interno del gruppo viene dedicata all’oggetto di lavoro, in rapporto al quale possono risaltare meglio alcune delle cose dette. 

Il problema e l’oggetto di lavoro sono costruzioni
Come si sa, l’oggetto di lavoro non è qualcosa che s’impone da sé ai gruppi e agli operatori che intendono dar vita ad un progetto d’intervento, né qualcosa che può essere meccanicamente dedotto dalla missione dell’organizzazione, dalle sue direttive o raccolto come si raccoglie un dato di realtà dotato di una sua immediata autoevidenza. Questa concezione fa riferimento ad una prospettiva che guarda ai problemi caratterizzandosi per due aspetti principali.

Innanzitutto cercando di evitare sia la via che fa coincidere i problemi con le persone, dove il problema tende a scomparire e a dileguarsi dietro ai tratti del carattere di quest’ultime, dietro “quei modi un po’ saccenti e una certa asprezza” che il trattare i problemi suscita, sia la via della loro separazione, come se il mantenere buone relazioni con i colleghi non fosse un aspetto rilevante nel comprendere e affrontare insieme i problemi di lavoro, e, di converso, come se il trattare e l’occuparsi dei problemi di lavoro delle persone e dei gruppi non contribuisse a migliorare il clima del loro lavoro. Questo tipo di attenzione potrebbe far risaltare con maggior chiarezza lo spazio delle relazioni e dei legami che intercorrono tra i problemi e le persone e dunque costituire la base per mettere in campo un intervento di consulenza in grado focalizzarsi su di esso, senza smarrire i primi o le seconde.

Inoltre occorre orientarsi a concepire i problemi come il condensarsi e il coagularsi, all’interno di una formulazione, di un complesso lavoro di elaborazione, costruzione e negoziazione che il gruppo di progetto produce a partire dai disagi e dalle domande dei clienti, dai diversi aspetti che si collegano alla missione e alla cultura dell’organizzazione e dal contesto entro cui questa opera…Visto in quest’ottica, l’oggetto di lavoro non è altro che quella parte del/i problema/i e della/e situazione/i sulla/e quale/i infine si decide di operare.

Aiutare le persone a costruire l’oggetto del loro lavoro e a riflettere sulle forme del loro produrlo insieme
Poiché, al pari del problema specifico di cui è porzione, anche l’oggetto di lavoro consiste in una realtà ‘artificiale’, ne consegue che esso rappresenta per la consulenza una fase di lavoro particolarmente critica, da pensare e curare con grande attenzione: è innanzitutto qui che occorre mettere in campo modalità capaci di aiutare le persone a prendere parte ad una attività che, mentre definisce la natura e i confini (sempre dinamici) del loro lavoro, costruisce al contempo anche le forme del loro produrlo insieme, in relazione alle cui qualità si giocherà gran parte della  disponibilità degli individui ad investire in questo tipo di occupazione.

E’ insomma questo doppio livello di artificialità contenuto nell’oggetto di lavoro - la delimitazione della parte del problema che si intende affrontare e la delineazione delle specifiche forme di lavoro che si intendono adottare per trattarla - a rendere così cruciale questa fase, tanto per chi opera direttamente come per chi è chiamato ad accompagnare con un’attività di consulenza.

Un secondo motivo che deve indurre la consulenza a prestare attenzione a questo stadio è legata al fatto che solo una buona  elaborazione dell’oggetto - condotta con una certa profondità ma anche con realismo - può consentire di impostare e affrontare in maniera proficua le restanti tappe dell’attività di progettazione, ad esempio mettendo a punto un sistema di valutazione più congruo e appropriato al lavoro che si è concordato di fare,  avente pertanto maggiori possibilità di essere utilizzato. Questa ricerca di congruità e di appropriatezza potrebbe infine portare ad adottare nuove forme nel concepire la stessa valutazione, orientandola in modo da fornire riscontri e spunti significativi più in ordine ai risultati ottenuti dal gruppo, dal lavorare insieme delle persone, che a quelli conseguiti dai singoli componenti.